Era il 31 luglio 2009, Amnesia – la trasmissione radiofonica di Radio Due, protagonista Matteo Caccia – aveva appena chiuso i battenti e io, con toni un po’ pungenti, attaccavo il Caccia stesso perché, dal mio opinabile punto di vista, si era preso gioco degli ascoltatori spacciando per vera una storia inventata che lo voleva vittima di un’amnesia piuttosto invalidante. Vergognati, gli dicevo. E con te si vergogni la Rai, incalzavo, rea di essersi prestata al poco elegante giochino. A distanza di oltre un anno e mezzo mi scrive Tiziano Bonini, regista di quella trasmissione radiofonica. Ti riporto qua sotto la sua garbata, interessante, piacevole email. Ora capisci perché, pur nell’era del social network, continuo ad amare così tanto il blog? Ecco la mail di Tiziano.

Ciao Marco,
semplicemente volevo commentare il tuo punto di vista, non essendo d’accordo sul dovere della radio di non fingere. C’è differenza tra finzione e falsità. Sono d’accordo con te che la radio pubblica, così come la tv pubblica, deve fare un’informazione onesta, senza falsità od omissioni. ma sull’intrattenimento valgono altre regole. Amnesia si inserì in una fascia oraria da anni dedicata allo sceneggiato, all’interno di una rete, Radio2, dedicata da sempre all’intrattenimento leggero, ma non banale, o almeno non commerciale. Il gruppo di lavoro dietro Amnesia era fatto di giovani autori alla prima vera occasione importante. la fiction fu prodotta perchè al direttore sembrò una bella idea, innovativa e volle lasciarci sperimentare, rischiando un po’. per una volta non stava puntando su nomi noti, nè su registri narrativi consolidati e attempati come il vecchio sceneggiato radiofonico (la stagione prima c’era stato Kabir
Bedi), in più stava dando spazio ad una giovane redazione di autori che in seguito, anche fuori da Radio2, avrebbero dimostrato il loro valore (Matteo a Radio24, Alessandro Genovesi col cinema).
Noi lo costruimmo come un gioco narrativo, come con quei film e quei libri che simulano il reale pur essendo fiction. finimmo pure candidati al Prix Italia nella sezione Drama, rischiando di vincere l’Oscar della radio. Molti ascoltatori capirono subito il gioco (ho raccolto le duemila email arrivate al programma  e ti posso garantire che la divisione tra chi ci credeva e chi invece no, alla fine, era metà e metà) e ne apprezzarono l’idea nuova, altri ci misero molto a capire (volutamente disseminavamo continuamente la storia di incoerenze, chi voleva poteva facilmente scoprire la non realtà di molti riferimenti, con una semplice ricerca in Internet) ma alla fine apprezzarono, altri, invece, pensarono di essere stati presi in giro, e ci rimasero giustamente male. Noi volevamo soltanto creare un prodotto radiofonico di finzione che fosse molto coinvolgente per gli ascoltatori, e chi rispondesse alla missione di servizio pubblico della Rete spingendo, tramite il gioco di finzione/realtà, gli ascoltatori a chiedersi come sarebbe ricominciare la loro vita da capo, riprovando tutto per la prima volta. E per fare questo avevamo bisogno che gli ascoltatori si immedesimassero in Matteo. il Matteo Caccia del programma è un personaggio di finzione, che per molti aspetti si sovrappone al Matteo Caccia vero. In Letteratura questo genere narrativo si chiama auto-fiction, in radio siamo stati i primi a sperimentarlo. Mai e poi mai abbiamo pensato di sfruttare a nostro vantaggio la credulità degli ascoltatori. Però il gioco che avevamo
architettato, a fini di intrattenimento, necessitava che lo giocassimo fino in fondo. è stata una scelta drammaturgica. Altre radio pubbliche europee, in anni passati, abbiamo poi scoperto, hanno costruito format simili a questo. Il pubblico italiano si è diviso tra chi credeva e chi no e anche tra chi credeva, alla fine, spesso ha prevalso la gioia
e l’attaccamento a un programma che li aveva accompagnati per una stagione intera. Altri si sono inc…. La mia lettura è che la grammatica del programma era così innovativa che molti non l’hanno decodificata correttamente. Certo la  radio è un mezzo di massa e dovrebbe poter essere accessibile a tutti, ma in questa dialettica infinita tra alto e basso ci sono molte alternative, in mezzo. Per correttezza, dopo infinite discussioni, abbiamo creduto giusto raccontare l’idea del programma e confessarne la finzione nell’ultima puntata, per chiudere il cerchio e finire il gioco. Le persone ascoltano la radio per tanti motivi, e si affezionano a voci, idee, storie per motivi anche molto personali. io credo che chi ha seguito soltanto per morbosità la storia dello smemorato della radio ha male interpretato le nostre intenzioni e ha goduto solo in parte del gioco collettivo che abbiamo innescato. C’è invece chi l’ha presa in maniera sana, ovvero come una bella storia, ben raccontata (non sta a me giudicarlo) e che lo ha fatto riflettere, emozionare, ripensare alla
sua vita. e se la storia dello smemorato non era vera, spesso le storie interne alle puntate lo erano molto ed erano storie in cui tutti potevano specchiarsi. era questo il senso ultimo del programma, il senso di ogni programma di intrattenimento non basato sulla vita di personaggi famosi ma sulla vita immaginaria di uno sconosciuto che
forse può raccontare qualcosa della vita di ognuno di noi. E se qualcuno si è sentito tradito, alla fine avrà imparato che anche la radio, come tutti i mezzi di comunicazione di massa, può mentire (Attention la radio ment! urlavano gli studenti per le vie di Parigi nel 1968) e avrà, spero, imparato a verificare, incrociare, documentarsi e non dare nulla per scontato, tanto più l’informazione. Per approfondire, ti allego la versione italiana di un mio articolo sul programma che verrà pubblicata su una rivista accademica internazionale, sperando con questo lungo commento, di aver chiarito
almeno il nostro, discutibile, punt di vista. e almeno aver reso chiari gli intenti del programma e la bontà e l’entusiasmo con cui fu realizzato.

Cordialmente

Tiziano Bonini

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