La coda è di quelle snervanti. Almeno una ventina di persone assiepate dinanzi al desk dell’accettazione attendono il loro turno per descrivere al personale medico i propri sintomi e per vedersi assegnato un codice colorato in base al quale si verrà chiamati e, si spera, curati. È il Pronto Soccorso di un grande ospedale. Fuori fa caldo, il termometro segna oltre 30 °C. All’interno l’impianto di climatizzazione non è nelle sue migliori giornate. In coda, è ovvio, c’è gente sofferente; sofferente e spaurita. C’è il vecchio con la pancia del buddha, la signora sui sessanta fresca di messinpiega e col volto tumefatto dalla caduta, la quarantenne con l’alluce fasciato, l’anziano sulla sedia a rotelle, la venezualana dagli shorts più shorts dell’intero emisfero settentrionale; c’è insomma un campione di umanità varia ed eterogenea, unita suo malgrado da un comune filo conduttore: la sofferenza. Tutti, ma proprio tutti, in quella sala d’attesa, combattono con qualche problema di salute, con qualche timore, con qualche seria preoccupazione, ché se non sei preoccupato, al Pronto Soccorso non ci vai nemmeno sotto tortura. Tra queste povere anime sottratte da un infortunio o da un malore al tran tran della vita quotidiana, in mezzo a quella folla silenziosa e dignitosa, scorgo due uomini dai tratti somatici marcatamente asiatici. Uno dei due non sta molto bene. Giunge in prossimità del desk e, vuoi per l’ansia che lo opprime, vuoi per la scarsa confidenza con l’ambiente, vuoi perché – chissà – magari si sente male davvero, tenta di superare l’intera coda e di presentarsi all’accettazione prima di ogni altro. Hey! Guarda che devi fare la fila! Guarda che devi aspettare il tuo turno. Prima di te c’è tutta ‘sta gente qua. La vedi? Lui, nel suo improbabile italiano, prova a dire che non sta molto bene, che ha bisogno di essere assistito subito. Senti, qui stiamo tutti male, ok? Guardati intorno: tra quelli che vedi non ce n’è uno che stia bene. Te ne sei reso conto? Il ragionamento non fa una piega. Se siamo lì è perchè tanto bene non stiamo. Sarà il personale medico a stabilire le urgenze. Le reazioni, dunque, per quanto impulsive e non proprio eleganti posso comprenderle. Una cosa però mi colpisce: gli diamo del tu. Tutti, nessuno escluso. Non è italiano, e per questo ci sentiamo autorizzati a dargli del tu. Se a passarci avanti irrispettosamente fosse stata una signora della nostra stessa nazionalità le avremmo risposto nello stessso modo, certo. Ma le avremmo dato del lei.

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