Partiamo in cinque: io, mio padre, elPustì, Guerrino e suo figlio Simone. Partiamo all’alba del 17 marzo 1985. È una fresca e soleggiata domenica di primavera. La Citröen CX Break di mio padre punta verso Milano. Alle 14.30 c’è il derby. San Siro è ancora quello di un tempo: due soli anelli, posti numerati solo in tribuna. Chi tardi arriva male alloggia. Se non fosse per la presenza d’elPustì, la spedizione sarebbe del tutto equilibrata: io e mio padre a tenere per l’Inter, Guerrino e suo figlio per il Milan. Ma elPustì c’è, e con lui l’ago della bilancia pende inesorabilmente dalla parte nerazzurra. Ha vissuto i fasti dell’Inter di Herrera, si è lasciato rapire dagli affondo di Facchetti, dai lanci millimetrici di Suarez, dai guizzi di Sandro Mazzola, dalla foglia morta di Mariolino Corso. Ha visto Peiró beffare il portiere del Liverpool, ha udito mille volte Il Mago proferire taca la bala e ha visto la Beneamata trionfare al Prater, sconfiggere il Benfica, battere e ribattere l’Independiente, salire sul tetto d’Europa e del Mondo due volte consecutive. L’Inter, elPustì, ce l’ha nel sangue. Guerrino no. Lui tiene per il Milan. È il cugino di mio padre, hanno più o meno la stessa età. La passione calcistica li divide, certo, ma vanno d’accordo, si stimano. Si vedono spesso al bar e magari discutono animatamente, ma non hanno mai alcun motivo di buttarla sul personale. Sono uomini a modo, amano il calcio ma sanno tenerlo al posto giusto. Tant’è che, da buoni cugini, l’avventura del derby scelgono di viverla insieme. È la ventunesima di trenta giornate. L’Hellas Verona guidata da Osvaldo Bagnoli corre verso il suo storico scudetto. L’Inter e il Milan si accontenteranno del terzo e del quinto posto. Massimo Moratti e Silvio Berlusconi sono ancora lontani. L’Inter è nelle mani del rag. Ernesto Pellegrini, il cuoco di Villar Perosa, mentre il Milan è proprietà di un inguaiato Giuseppe Farina. A guidare i nerazzurri Ilario Castagner, quello del Perugia dei miracoli. Sulla panchina rossonera c’è Il Barone: Nils Liedholm. Là davanti, a farmi sognare, Karl Heinz Rummenigge. Loro hanno Mark Hateley e Pietro Paolo Virdis. Arriviamo allo stadio più tardi del previsto; gli spalti sono già gremiti in ogni ordine di posto. Ci sistemiamo in quella che oggi chiamano Tribuna Arancio, in piedi, stretti stretti, nell’angolino alto di sinistra, al pari della linea di porta. Non è una gran posizione ma va bene lo stesso. Sono teso, ho appena 17 anni ed è la prima volta che assisto a un derby. Mi estraneo dal resto della truppa. Per novanta minuti i miei compagni di viaggio non esistono: c’è solo l’Inter. Pazienza se Guerrino e suo figlio fanno il tifo per quegli altri. Io sono lì per l’Inter. Passano in vantaggio loro, orca l’oca. Guerrino e Simone esultano. Io sto malissimo. Poi Rummenigge – gol storico il suo – infila Terraneo con un missile terra-aria senza precedenti. Stavolta esulto io. Simone e Guerrino tacciono. A dieci minuti dal termine raddoppia Spillo Altobelli. Esulto di nuovo e di più. Sembra fatta. Ma a pochi istanti dal fischio finale Vinicio Verza ristabilisce la parità. Guerrino e Simone possono liberare la loro gioia. Finisce 2-2. Torniamo a casa senza vinti né vincitori. Il viaggio di ritorno, smaltita la tensione della gara, è divertente. Quattro ore a parlare del derby, quattro ore a difendere le proprie passioni. Un abitacolo e cinque commissari tecnici. elPustì parla poco, c’è rimasto male; il gol beccato all’89° non l’ha digerito proprio. La sua Inter, l’Inter di Herrera, avrebbe vinto. Io e Simone ci punzecchiamo più volte, ma senza cattiveria. Meritava l’Inter. No, meritava il Milan. Ha giocato meglio l’Inter. No, ha giocato meglio il Milan. Non se ne esce. Siamo giovani e convinti. Con gli anni impareremo che non vale la pena. Mio padre vede nerazzurro ma parla poco e si limita a guidare. Guerrino vede rossonero, e parla, ma con garbo come sempre. Tra una chiacchiera e l’altra, tra uno sfottò e una punzecchiata, arriviamo ad Ancona e pigliamo la strada di casa. Ci siamo divertiti. È stata una bella esperienza. La ricordo ancora oggi, a 25 anni di distanza. Ho imparato là che il calcio non può e non deve in alcun modo dividere. Ho imparato là che la differenza di età non rappresenta un ostacolo ma una ricchezza. Ma è un’esperienza che non potrò più ripetere. elPustì se ne è andato alcuni anni fa. Guerrino ci ha lasciati ieri, all’improvviso, a pochi passi dalla moglie. Lei lo attendeva in auto. Torno subito le aveva detto. Non c’è riuscito. Mi piange il cuore.