Era un portafogli vecchio e un po’ sdrucito. Non ricordo dove lo avessimo trovato; forse era di mio zio. So che l’idea di piazzarlo in mezzo alla strada legato al filo da pesca fu subitanea. Ci saremmo nascosti dietro una colonna, pronti a tirarlo verso di noi ogni qualvolta si fossero fermati a raccoglierlo. Dalle mie parti di gente ne passava. La mia via, seppur periferica, collegava un intero quartiere al mercato delle erbe ed era attraversata ogni giorno dalle persone più strane. Le conoscevo tutte. Conoscevo i loro nomi, i loro familiari, sapevo dove abitassero, come la pensassero, a che ora sarebbero passati, e riuscivo anche a intuire in che modo avrebbero reagito di fronte a uno scherzo come quello. Osservare di nascosto le loro reazioni dinanzi al portafogli smarrito sarebbe stato divertente. I primi esperimenti tuttavia non furono soddisfacenti. Il portafogli legato al filo da pesca non attirava l’attenzione di nessuno. I passanti non sembravano nemmeno percepirne la presenza. Delusi, iniziammo a chiederci che cosa ci stesse impedendo di riuscire appieno nel nostro intento. Forse il filo da pesca era più visibile di quanto credessimo? Sarebbe stato il caso di toglierlo e di lasciare il portafogli in mezzo alla strada solo soletto, in balìa dei passanti? E se poi ce l’avessero rubato? Avremmo perso l’oggetto del nostro divertimento. Ne sarebbe valsa la pena? Un intenso scambio di opinioni tra i giovani dell’isolato portò a decidere: via il filo da pesca! In fondo, se ci rubano il portafogli cosa vuoi che ce ne importi? È pure vecchio. Lasciamolo lì, in mezzo alla strada, e vediamo se ora qualcuno lo nota; divertiamoci a osservare il comportamento delle persone dinanzi al portafogli smarrito. Un passante, due passanti, tre passanti.: il portafogli continua a non farsi notare. Eppure è un portafogli! Là dentro la gente tiene i documenti, le banconote, le carte di credito. Possibile che nessuno lo veda? Possibile che nessuno si fermi a raccoglierlo? Insistiamo, dai. Aspettiamo ancora un po’ e vediamo cosa succede. Ma non succede niente, non si ferma nessuno. Deve esserci ancora qualcosa da mettere a punto, qualcosa che non va e che ci impedisce di far funzionare lo scherzo. Un ulteriore consulto e arriva il lampo di genio! È di mio cugino: Dobbiamo riempire il portafogli di carta! Deve dare l’impressione di essere colmo di banconote! Non fa in tempo a finire la frase che le pagine dell’ultimo numero del Monello vanno a riempire il nostro in ogni angolo, trasformandolo in un involto le cui dimensioni e il cui aspetto lasciano presagire, al suo interno, una nutrita presenza di banconote. Forse ci siamo, forse ora lo scherzo funzionerà. Funzionò. Non ci fu passante che non si fermò a raccogliere quel portafogli zeppo di carta, nessuno che – guarda caso – non si accorgesse della sua presenza. E ogni volta che qualcuno si fermava salivano alte le nostre risa, e il povero malcapitato (o malintenzionato?) era costretto a chissà quali esercizi di equilibrismo per nascondere il suo imbarazzo, il suo impaccio di fronte a quel gruppetto di ragazzini divertiti e un po’ cinici. L’avrei riconsegnato! Cercavo solo di risalire al proprietario. Volevo solo metterlo lungo il bordo della strada. Ma noi ad attribuir loro buona fede non ci pensavamo proprio. Il loro impaccio era troppo divertente. Durò diversi giorni quello scherzo, forse qualche settimana, poi qualcuno la prese male e pensò di portarsi a casa il portafogli. Peccato, era uno scherzo innocuo e divertente. Credo fosse il 1980.

Una risposta

  1. E’ proprio vero! Siamo passati tutti attraverso questa esperienza, ci sembrava di controllare il mondo. Mi ricordo una variante del gioco: d’estate ci mettevamo ai bordi del lungomare mentre le persone passavano e ci mettevamo uno da una parte e l’altro dall’altra e tendevamo un ipotetico filo (non esisteva affatto) ad altezza uomo e sincronizzavamo i movimenti mentre lo tendevamo per farne credere l’esistenza; quando sopraggiungeva una persona noi, assorti nella operazione di tiraggio, facevamo i sorpresi e chiedendo scusa alle persone abbassavamo il filo a circa un palmo da terra; il nostro scemo divertimento era quello di vedere le persone (alcune affatto turbate) alzare le loro scarpe per superare quell’ipotetico gradino creato dall’inesistente filo di nylon teso da due ragazzi concentratissimi a fare chissà cosa. Il segreto del successo era: rimanere rigorosamente seri e rispettosi nei riguardi dei passeggiatori; correva l’anno 1968.

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