È stato un bel pomeriggio, quello di ieri. L’ho trascorso passeggiando con mia moglie lungo le vie del suo quartiere, le vie in cui è nata e cresciuta e dalle quali si è allontanata solo quando, quattordici anni fa, ha deciso di dirmi sì.

“Là, seduta su quel muretto, trascorrevo molti pomeriggi a giocare con le amiche. Qua invece venivo a comprare il latte. Questo albero c’era già allora. Qui, invece, dove ora c’è una serranda chiusa, c’era la mia prima parrucchiera. Là, io e i miei genitori, nelle sere d’estate, venivamo a comprare il gelato. Questa viuzza la percorrevo per tornare a casa da scuola. Qui abitavano gli zii di mia madre; nel periodo del terremoto – era il ’72 – ci ospitarono a casa loro per molti giorni. Lungo questa discesa mia sorella cadde con la bici tagliandosi il mento.” E via così per tutta la passeggiata, in un collage di ricordi belli e malinconici.

Per farli riemergere è bastata una passeggiata lungo quelle stesse vie che attraversiamo ogni giorno in auto. Ma dall’auto, dai nostri abitacoli climatizzati e insonorizzati, mentre filiamo via come il vento, accompagnati dal nostro sottofondo musicale preferito, quelle stesse vie sembrano perdere la loro identità, la loro memoria, la loro storia, il loro odore, i loro rumori. Ieri, d’incanto, mentre l’auto rimaneva in garage, io e mia moglie li abbiamo ritrovati, e siamo tornati a casa più ricchi e più veri. Come un tempo.

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