Quando si parla di musica, di diritto d’autore e di diritti connessi, il popolo dei web surfers riesce spesso a stupirmi. Una sentenza del Tribunale di Milano, la 10901/2010, stabilisce che i dentisti, al pari di qualsiasi altra figura professionale e di qualsiasi altro esercizio commerciale, se vogliono diffondere musica nei luoghi in cui esercitano il loro lavoro debbono corrispondere i diritti fonografici alla SCF (Società Consortile Fonografici). Ciò vuol dire che se il mio amatissimo dentista vuole farmi sentire musica mentre mi trovo nei suoi locali, oltre a corrispondere, laddove dovuto, un compenso all’autore del brano utilizzato, pratica che si espleta interloquendo con la SIAE, deve sganciare un po’ dei suoi tanti quattrini anche all’interprete del brano stesso e alla sua casa discografica che, investendo tempo, risorse, energie e quattrini, permette l’incisione del brano e quindi la sua diffusione. La notizia rimbalza ovunque suscitando, guarda un po’, le reazioni indignate dei surfanti. Butta l’occhio per esempio sui commenti al  pezzo di Mauro Vecchio per Punto Informatico e vedi quel che sta succedendo: giudici servi, facciamo fallire la majors, sono solo un cancro, stomachevoli, mandiamoli a lavorare e così via in un crescendo di osservazioni che peraltro fondano spesso su di una scarsa conoscenza della materia. Poche, anzi rarissime, le voci a favore della sentenza, una sentenza per nulla strana né scandalosa, una sentenza che va a ribadire quel che sapevamo: la musica la fanno sì gli autori ma anche gli interpreti. Ne parlavo già in Podcasting che funziona, il libro che scrissi nel 2006 per Apogeo: se vuoi utilizzare pubblicamente Occhi di ragazza, il brano scritto da Ron negli anni settanta, devi corrispondere a Rosalino Cellamare – rappresentato da SIAE – quel che gli spetta. Ma non basta. Sai perché non basta? Perché se diffondi pubblicamente Occhi di ragazza, con ogni probabilità utilizzi la versione interpretata da Gianni Morandi. Dico bene? Se dico bene non si capisce per quale motivo tu, che utilizzi il lavoro di Gianni Morandi e della sua casa discografica, non debba corrispondere loro quel che loro spetta. È così scandaloso il fatto che Gianni Morandi, per autorizzarti a utilizzare un suo lavoro ti chieda un compenso? È così criminale che una casa discografica, per mezzo di SCF che la rappresenta, ti chieda un compenso per il lavoro che ti ha messo a disposizione? È così stomachevole che un giudice ribadisca quel che già sappiamo da anni, quel che la legge stabilisce già da tempo? Meritano di fallire quelli che – dopo aver investito le loro risorse – vorrebbero vedere rispettato il loro lavoro? Nell’aprile del 2006 intervistai per Apogeonline Filippo Rinaldi di BMG Ricordi. Il tema della chiacchierata? I diritti connessi, quegli stessi diritti che la sentenza 10901/2010 torna ora a difendere. Al Rinaldi chiesi, tra l’altro: Perché corrispondere tali diritti? I diritti connessi – mi rispose – hanno l´obbiettivo di tutelare il lavoro del produttore discografico, che impegna le proprie risorse per incidere e commercializzare il prodotto musicale e dell’artista interprete esecutore per il proprio contributo alla registrazione. Dov’è l’errore? Dov’è lo scandalo? Non ce n’è. Tanto rumore per nulla.

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